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Abstract
Fedelta alla tradizione ciceroniana, ma, insieme, inserimento di qualche parziale, occasionale differenza: questa la posizione di Quintiliano sulle caratteristiche dell’ actio , termine che egli usa senza differenze da pronuntiatio , seguendo Cicerone ma distinguendosi dagli autori precedenti al modello di Arpino. Ma in entrambi gli autori emerge la volonta di distinguere l’ actio dell’attore da quella dell’oratore: con netta preferenza per la figura professionale di quest’ultimo. L’attore, che soggiace a una condanna morale perche della verita e solo imitatore, mira a un’alterazione pesante della realta, mentre l’oratore tende a un’imitazione leggera: e imitatore della vita vera. L’oratore infatti non deve imitare gli attori e la loro effeminatezza, ma deve tendere a un’actio virile, appresa dalla palestra o dalla piazza d’armi dei soldati. Sono presi in esame per questo confronto, oltre al trattato di Quintiliano, soprattutto i passi del De oratore ciceroniano, e occasionalmente delle altre opere di retorica, dove l’actio viene definita, sul modello di Demostene, come la prima, ma contemporaneamente anche come la seconda e la terza dote dell’oratore.