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Abstract
Il saggio indaga la funzione delle immagini architettoniche (edifici pubblici o privati, interni di abitazioni, terrazze, villaggi e conglomerati urbani) nell’ultimo romanzo di Elsa Morante, Aracoeli (1982). Partendo dalla constatazione della persistenza di simili immagini nella scrittura di questa autrice, si interroga il senso che assumono nell’opera considerata da molti critici la palinodia del percorso artistico precedente. Le architetture sono interpretate orlandianamente come figura complessa, la quale richiama contemporaneamente l’aspetto materiale (e storico) del mondo extra-testuale e la forma artistica che lo ricompone (famoso è il paragone morantiano fra il romanzo e la cattedrale). Si rivelano quindi quali formazioni di compromesso fra sfera referenziale e poetica, fra spinte costruttive della forma e esigenza di confrontarsi con un esterno che sempre più ne confuta l’ordine. È proprio nell’ambiguità che le caratterizza che simili figure possono farsi chiave di lettura dell’ultimo romanzo di Morante, campo di battaglia finale fra volontà compositiva e tensioni distruttive e non totale resa al caos, né espressione unilateralmente euforica di una liberazione dalle forme.