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Abstract
Ciò su cui rifletteremo nelle prossime pagine rappresenta una particolare sfaccettatura di un vasto fenomeno letterario e, più in generale, culturale, di cui mi sono occupata in una mia recente monografia.1 Si tratta della tendenza ad evocare, e talvolta a ricalcare con precisione, trame greche – da opere storiche, ma anche poetiche – da parte degli storiografi di Roma, soprattutto nella trattazione delle fasi più arcaiche della storia della città. Il tema è di indubbio interesse, poiché attesta l’esistenza di una intensa e feconda interazione culturale non solo tra gli intellettuali ellenici e Romani – non dobbiamo dimenticare, comunque, il fatto che molti storiografi di Roma furono greci, o di cultura greca – ma anche tra generi letterari dal diverso statuto e differenti obiettivi, quali, appunto, storiografia e poesia epica e tragica, fenomeno che ha suscitato negli ultimi quindici anni un animato dibattito critico.2 In particolare, parlando di echi dalle tragedie tebane nelle storie di Roma, mi riferisco a tutte quelle citazioni, più o meno volontarie, di situazioni e personaggi della saga dei Labdacidi da parte degli storici dell’Urbe. Come vedremo, le sezioni di storia romana che sembrano più aperte ad accogliere questi riferimenti riguardano soprattutto episodi bellici. Ciò è coerente con quanto suggeriscono Levene e Nelis, e cioè che i temi della storiografia e della poesia epico-tragica tendano a sovrapporsi soprattutto quando si tratta di guerre e battaglie.3