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Abstract
Questo articolo è incentrato su un passo della Tabula Mundi di Giovanni di Gaza, ossia quello riguardante Afrodite e il Mare (vv. 454-466), che pone un problema esegetico. Generalmente la critica tende a pensare che si tratti della stessa figura. Al contrario, sostengo che si tratti di due figure differenti, facendo riferimento al contesto culturale in cui si colloca il poema, in particolare al suo sfondo filosofico: in una prospettiva neoplatonica, infatti, la dea può essere interpretata come l’Anima che trionfa sulla materia (il mare), in quanto sia Afrodite sia il Mare sono rappresentati brillanti e nell’atto di contemplare la luce del sole (l’Intelletto). Questa interpretazione è confermata da riferimenti ad Afrodite in autori neoplatonici, ma anche nelle Anacreontee di Giovanni e nelle opere degli autori della cosiddetta “scuola di Gaza”, fortemente influenzati dal Neoplatonismo. Dunque, Giovanni intende enfatizzare il trionfo della luce e, in definitiva, dell’Uno/Dio, attraverso la visione mistica di un intellettuale tardoantico, in un contesto decisamente sincretistico.