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Abstract
Il rapporto tra architettura e potere trova nel periodo fascista una delle sue più intense manifestazioni, sia in termini di spazialità che in termini di espressività. Questo testo affronta il tema dello spazio aperto pubblico all'interno dei tessuti edilizi, proponendo due chiavi di lettura: la teoria del diradamento di Gustavo Giovannoni e l'assemblaggio metafisico rilevabile nell'estetica di Giorgio De Chirico. Vengono dapprima sintetizzati alcuni passaggi chiave che orientano la cultura del progetto nel ventennio fascista; successivamente, i due approcci sono presentati attraverso una ri-lettura teorico-artistica. In conclusione, si apre una riflessione sul carattere di resistenza degli spazi pubblici oggi e sulla permanenza di una qualità urbana introdotta nel primo dopoguerra.