{"title":"Relations de pouvoir : l’impostura populista","authors":"Maria Cristina Addis","doi":"10.25965/as.6548","DOIUrl":null,"url":null,"abstract":"Introduzione Il nostro contributo verte su un corpus di interventi televisivi tenuti a ridosso delle elezioni europee del maggio 2019 dai leader delle quattro principali forze politiche italiane (Matteo Salvini per la Lega, Luigi DiMaio per il Movimento 5 Stelle, Nicola Zingaretti per il Partito Democratico, Silvio Berlusconi per Forza Italia), una delle quali è stata (Forza Italia) e due sono (Lega, M5S) considerate dagli avversari, dai media, dai politologi o, fieramente, dai propri stessi leader, come casi esemplari di populismo1. Come suggerisce Eric Landowski, che il termine sia più o meno appropriato esso individua una serie di correnti accomunate dal fatto di presentarsi in difesa degli interessi del (proprio) “popolo”, proponendo a tal fine misure che spesso contrastano i principi del gioco democratico e dell’equilibrio internazionale2. Quando però si tentano di individuare i valori e gli obiettivi perseguiti dai “difensori del popolo” e soprattutto le ragioni di tanta innegabile popolarità (presso, per giunta, fette di popolazione molto eterogenee per estrazione sociale, tradizione politica e condizione economica), circoscrivere nettamente il fenomeno diventa, soprattutto nel caso italiano, molto più difficile. La crisi fiduciaria verso le istituzioni, costantemente denunciata dai politologi e all’ordine del giorno nelle agende nazionali ed europee, può spiegare al limite l’avversione alla politica tradizionale, ma, come osserva lo stesso Landowski, non basta a rendere conto l’adesione a quella “antagonista”. Inoltre, la sfiducia non è affatto un’esclusiva degli elettori populisti (chi sceglie di non votare, o colui che avversa le correnti populiste e opta dunque il “male minore”, senza però riporre particolare entusiasmo nel progetto espresso dalla forza che ne conquista il voto, condivide la medesima diffidenza). Infine, l’“innocenza politica”, la credibilità dei j’accuse di Matteo Salvini o Luigi DiMaio e la fiducia generata dal discorso anti-casta non hanno certo basi contro-fattuali, ma sono semmai un miracolo di discorso : il primo è un politico di professione inquadrato fin da giovane età in un partito che ha avuto più volte cariche di governo, il secondo appartiene ormai in toto al sistema delle istituzioni, e i suoi","PeriodicalId":64325,"journal":{"name":"新作文(小学123年级)","volume":"128 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0000,"publicationDate":"2020-02-28","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":"0","resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":null,"PeriodicalName":"新作文(小学123年级)","FirstCategoryId":"1092","ListUrlMain":"https://doi.org/10.25965/as.6548","RegionNum":0,"RegionCategory":null,"ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":null,"EPubDate":"","PubModel":"","JCR":"","JCRName":"","Score":null,"Total":0}
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Abstract
Introduzione Il nostro contributo verte su un corpus di interventi televisivi tenuti a ridosso delle elezioni europee del maggio 2019 dai leader delle quattro principali forze politiche italiane (Matteo Salvini per la Lega, Luigi DiMaio per il Movimento 5 Stelle, Nicola Zingaretti per il Partito Democratico, Silvio Berlusconi per Forza Italia), una delle quali è stata (Forza Italia) e due sono (Lega, M5S) considerate dagli avversari, dai media, dai politologi o, fieramente, dai propri stessi leader, come casi esemplari di populismo1. Come suggerisce Eric Landowski, che il termine sia più o meno appropriato esso individua una serie di correnti accomunate dal fatto di presentarsi in difesa degli interessi del (proprio) “popolo”, proponendo a tal fine misure che spesso contrastano i principi del gioco democratico e dell’equilibrio internazionale2. Quando però si tentano di individuare i valori e gli obiettivi perseguiti dai “difensori del popolo” e soprattutto le ragioni di tanta innegabile popolarità (presso, per giunta, fette di popolazione molto eterogenee per estrazione sociale, tradizione politica e condizione economica), circoscrivere nettamente il fenomeno diventa, soprattutto nel caso italiano, molto più difficile. La crisi fiduciaria verso le istituzioni, costantemente denunciata dai politologi e all’ordine del giorno nelle agende nazionali ed europee, può spiegare al limite l’avversione alla politica tradizionale, ma, come osserva lo stesso Landowski, non basta a rendere conto l’adesione a quella “antagonista”. Inoltre, la sfiducia non è affatto un’esclusiva degli elettori populisti (chi sceglie di non votare, o colui che avversa le correnti populiste e opta dunque il “male minore”, senza però riporre particolare entusiasmo nel progetto espresso dalla forza che ne conquista il voto, condivide la medesima diffidenza). Infine, l’“innocenza politica”, la credibilità dei j’accuse di Matteo Salvini o Luigi DiMaio e la fiducia generata dal discorso anti-casta non hanno certo basi contro-fattuali, ma sono semmai un miracolo di discorso : il primo è un politico di professione inquadrato fin da giovane età in un partito che ha avuto più volte cariche di governo, il secondo appartiene ormai in toto al sistema delle istituzioni, e i suoi