{"title":"Johannes Bartuschat (ed.), L’esilio di Dante nella letteratura moderna e contemporanea, Ravenna, Longo 2016 (Letture Classensi, 45), 155 pp.","authors":"U. Motta","doi":"10.1515/dante-2019-0012","DOIUrl":null,"url":null,"abstract":"Il volume raccoglie gli atti del 45° ciclo delle tradizionali Letture Classensi, tenutesi a Ravenna tra il settembre e il novembre del 2015. Presentato da Michele de Pascale, sindaco della città, introdotto e curato da Johannes Bartuschat, esso comprende cinque contributi sulla ricezione e rielaborazione del tema dell’esilio di Dante tra Otto e Novecento, e un saggio di Lino Pertile, che sviluppa la lettura del canto XXXI del Paradiso offerta dallo studioso di Harvard presso la Sala Dantesca della Biblioteca Classense il 13 settembre di quell’anno, anniversario della morte del poeta. Come sottolineato tanto nella Presentazione di de Pascale quanto nella Premessa di Bartuschat, il motivo approfondito nei diversi interventi fa emergere la ricchezza del magistero dantesco, nella misura in cui la sua figura storica e la sua opera hanno potuto costituire, alle più diverse latitudini, uno stimolo e un termine di confronto ideali per permettere agli scrittori moderni e contemporanei di interrogarsi sul significato propriamente politico del proprio ruolo, e sulla forza, critica e profetica insieme, della parola letteraria. L’esule Dante testimonia infatti come la distanza, l’allontanamento, l’esclusione (spesso imposti e forzati) circoscrivano la condizione (reale e metaforica) della parola poetica, che è chiamata da un lato a denunciare l’ingiustizia, l’oppressione, l’orrore della storia in atto (e di ogni storia, presente e passata), dall’altro a formulare ipotesi e prospettive per un possibile risarcimento e superamento del dramma. Fu il Romanticismo – come viene dichiarato da Bartuschat in apertura del suo saggio (L’esilio di Dante nella cultura francese dell’Ottocento, pp. 9–36) – a eleggere Dante a emblema di una nuova sensibilità, estetica e civile, e a procedere dunque espressamente alla sua mitizzazione, spesso a discapito di una reale, effettiva conoscenza della sua opera, specie al di fuori dell’Italia. La parabola di Dante, scacciato dalla patria ed esule nelle regioni centro-settentrionali della penisola, è assunta a icona di quella marginalità dell’artista che, alle soglie della modernità, si sarebbe imposta quale requisito essenziale della sua autenticità e libertà. Esemplare risulta, al riguardo, l’evoluzione del pensiero di Chateaubriand, tra Le génie du christianisme e i più tardi scritti degli anni Trenta. Se in un primo tempo il suo giudizio resta ancorato ai paradigmi del classicismo settecentesco, e dunque circospetto e diffidente, all’altezza delle Mémoires d’outre-tombe – secondo una linea d’evoluzione tipica della cultura europea – Dante, per un verso malinconicamente estraneo al suo mondo e per l’altro profeta di pace in un’epoca di guerre e dissidi, viene elevato a modello della propria sensibilità.","PeriodicalId":11276,"journal":{"name":"Deutsches Dante-Jahrbuch","volume":"2 1","pages":"199 - 203"},"PeriodicalIF":0.0000,"publicationDate":"2019-09-23","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":"1","resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":null,"PeriodicalName":"Deutsches Dante-Jahrbuch","FirstCategoryId":"1085","ListUrlMain":"https://doi.org/10.1515/dante-2019-0012","RegionNum":0,"RegionCategory":null,"ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":null,"EPubDate":"","PubModel":"","JCR":"","JCRName":"","Score":null,"Total":0}
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Abstract
Il volume raccoglie gli atti del 45° ciclo delle tradizionali Letture Classensi, tenutesi a Ravenna tra il settembre e il novembre del 2015. Presentato da Michele de Pascale, sindaco della città, introdotto e curato da Johannes Bartuschat, esso comprende cinque contributi sulla ricezione e rielaborazione del tema dell’esilio di Dante tra Otto e Novecento, e un saggio di Lino Pertile, che sviluppa la lettura del canto XXXI del Paradiso offerta dallo studioso di Harvard presso la Sala Dantesca della Biblioteca Classense il 13 settembre di quell’anno, anniversario della morte del poeta. Come sottolineato tanto nella Presentazione di de Pascale quanto nella Premessa di Bartuschat, il motivo approfondito nei diversi interventi fa emergere la ricchezza del magistero dantesco, nella misura in cui la sua figura storica e la sua opera hanno potuto costituire, alle più diverse latitudini, uno stimolo e un termine di confronto ideali per permettere agli scrittori moderni e contemporanei di interrogarsi sul significato propriamente politico del proprio ruolo, e sulla forza, critica e profetica insieme, della parola letteraria. L’esule Dante testimonia infatti come la distanza, l’allontanamento, l’esclusione (spesso imposti e forzati) circoscrivano la condizione (reale e metaforica) della parola poetica, che è chiamata da un lato a denunciare l’ingiustizia, l’oppressione, l’orrore della storia in atto (e di ogni storia, presente e passata), dall’altro a formulare ipotesi e prospettive per un possibile risarcimento e superamento del dramma. Fu il Romanticismo – come viene dichiarato da Bartuschat in apertura del suo saggio (L’esilio di Dante nella cultura francese dell’Ottocento, pp. 9–36) – a eleggere Dante a emblema di una nuova sensibilità, estetica e civile, e a procedere dunque espressamente alla sua mitizzazione, spesso a discapito di una reale, effettiva conoscenza della sua opera, specie al di fuori dell’Italia. La parabola di Dante, scacciato dalla patria ed esule nelle regioni centro-settentrionali della penisola, è assunta a icona di quella marginalità dell’artista che, alle soglie della modernità, si sarebbe imposta quale requisito essenziale della sua autenticità e libertà. Esemplare risulta, al riguardo, l’evoluzione del pensiero di Chateaubriand, tra Le génie du christianisme e i più tardi scritti degli anni Trenta. Se in un primo tempo il suo giudizio resta ancorato ai paradigmi del classicismo settecentesco, e dunque circospetto e diffidente, all’altezza delle Mémoires d’outre-tombe – secondo una linea d’evoluzione tipica della cultura europea – Dante, per un verso malinconicamente estraneo al suo mondo e per l’altro profeta di pace in un’epoca di guerre e dissidi, viene elevato a modello della propria sensibilità.