Denise Vergani, Alberto Montoli, C. Brunati, M. Cabibbe, E. Missaglia, E. Minetti
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Abstract
Cuore e reni si influenzano mediante meccanismi di feedback neurormonali, che spiegano l’insorgenza della cosiddetta sindrome cardiorenale. L’insufficienza cardiaca con congestione sistemica è caratterizzata da underfilling arterioso, che determina l’attivazione di neuroipofisi e sistema nervoso simpatico rispettivamente a produrre ADH e angiotensina II. Questi ultimi determinano aumentato riassorbimento di acqua e di sodio, che contribuiscono all’overload di volume, tipico dell’insufficienza cardiaca scompensata. Nei pazienti con scompenso cardiaco avanzato refrattario e contestuale insufficienza renale, persistentemente sintomatici nonostante la terapia medica complessa, la valutazione specialistica congiunta appare la giusta strategia per quanto sinora esposto. La terapia diuretica deve essere individualizzata e strettamente monitorata, sia per verificarne l’efficacia in termini di rimozione di acqua e di sodio, sia per ridurre il rischio di sbilanci elettrolitici. La resistenza al diuretico va affrontata rititolando dosaggi e utilizzando farmaci a diverso sito di azione. Nei casi, meno comuni, di scompenso cardiaco acuto in cui sussista una diuresi non efficace nonostante una terapia diuretica massimale, trova indicazione l’ultrafiltrazione con macchina da emodialisi. Tale metodica non ha dimostrato beneficio come strategia di decongestione precoce nei pazienti con funzione renale conservata. Nei pazienti con scompenso cardiaco cronico caratterizzati da classe NYHA avanzata e insufficienza renale cronica non terminale, può essere valutato l’avvio dell’ultrafiltrazione con la dialisi peritoneale, con l’obiettivo di migliorare la classe NYHA e di ridurre la necessità di visite urgenti per sovraccarico idrico ingravescente e le ospedalizzazioni.