L. Canaud (Professeur des Universités, praticien hospitalier) , J.-B. Ricco (Professeur des Universités, praticien hospitalier) , C. Marty-Ané (Professeur des Universités, praticien hospitalier) , P. Alric (Professeur des Universités, praticien hospitalier)
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Abstract
L’infezione delle protesi aortiche, aortoiliache o aortofemorali, è una complicanza temibile della chirurgia di rivascolarizzazione e rimane una sfida chirurgica. Essa è, fortunatamente, rara, ma la sua morbilità e la sua mortalità sono estremamente pesanti, tra il 30% e il 50% a 30 giorni. La diagnosi non è sempre facile. Gli esami complementari permettono di confermare la diagnosi, di precisare i microrganismi responsabili e di iniziare il trattamento, che associa terapia antibiotica e trattamento chirurgico. Non esiste un trattamento “migliore” delle infezioni delle protesi aortiche e la strategia chirurgica deve essere individualizzata, prendendo in considerazione una molteplicità di fattori. Il trattamento radicale comprende l’asportazione della protesi e la rivascolarizzazione degli arti inferiori. Il materiale più usato in Francia è l’alloinnesto arterioso crioconservato o si usano delle vene femorali prelevate dal paziente. Queste sostituzioni con materiale autogeno consentono una rivascolarizzazione in situ e hanno una migliore resistenza alle infezioni. L’altra possibilità di rivascolarizzazione è extra-anatomica con bypass axillo-bi-femorale, utilizzato soprattutto in caso di fistola proteodigestiva.