Questo articolo discute le tecniche endovascolari di base che ogni chirurgo vascolare deve conoscere prima di intraprendere una procedura terapeutica arteriosa. Pur riprendendo principi comuni a tutti gli interventi endovascolari, il trattamento delle patologie occlusive degli arti inferiori costituisce il cuore di questo capitolo poiché le tecniche endovascolari specifiche per le patologie aneurismatiche sono descritte nei capitoli corrispondenti. Le particolarità delle diverse sedi (aortoiliaca, femoropoplitea, assi della gamba e del piede, ecc.) sono trattate nei capitoli corrispondenti. Le tecniche qui riportate sono in costante sviluppo grazie al miglioramento delle attrezzature fornite dall’industria. La fattibilità tecnica del trattamento endovascolare è dimostrata per quasi tutte le anatomie lesionali. Spetta al chirurgo vascolare decidere in anticipo se questa è davvero la strategia che apporta maggiori benefici al paziente sulla base di numerosi parametri che non vengono discussi in questa sede.
L’utilizzo di un lembo è la soluzione d’elezione per coprire grandi perdite di sostanza di origine ischemica quando le tecniche di copertura convenzionali diventano inapplicabili. Due situazioni principali richiedono l’utilizzo di un lembo in chirurgia vascolare: l’esposizione degli elementi della ricostruzione vascolare, a seguito di complicanze settiche dell’accesso chirurgico; la necrosi ischemica estesa dell’arto inferiore, che espone strutture importanti come ossa, articolazioni, tendini e nervi. La copertura dei materiali vascolari può anche essere indicata in prima intenzione per prevenire il rischio di sovrainfezione e quindi di emorragia. Questa chirurgia può divenire indispensabile in alcune situazioni di ischemia critica per assicurare il salvataggio degli arti, che si tratti dei postumi di un bypass distale e/o di una rivascolarizzazione endovascolare. Le indicazioni di questa chirurgia combinata si basano su tre criteri essenziali: il tipo di lesione arteriosa, il carattere della ferita e lo stato fisiologico del paziente. La scelta del lembo si basa sulla localizzazione della ferita, sul rischio di infezione, sull’anatomia e sul flusso del lembo. Si tratta di una chirurgia complessa. La sua indicazione va studiata attentamente e resta riservata a pazienti altamente selezionati.
I linfedemi sono la conseguenza di una stasi linfatica che provoca un aumento di volume dell’arto colpito. L’erisipela è la principale complicanza dei linfedemi, a parte l’impatto funzionale e psicologico, talvolta significativo. Il trattamento si basa sulla fisioterapia decongestiva completa (bendaggi monotipo poco elastici con bende ad allungamento ridotto, esercizi, linfodrenaggio manuale [LDM] cura della cute), la cui prima fase, intensiva, consente di ridurre il volume e la seconda di stabilizzarlo. I bendaggi poco elastici e la compressione elastica sono i due pilastri della fisioterapia decongestionante completa. È necessaria l’educazione terapeutica, compreso l’apprendimento degli autobendaggi. La chirurgia di resezione è utile nei linfedemi che colpiscono i genitali esterni, mentre le altre chirurgie, ricostruttive (anastomosi linfovenose, trasferimento linfonodale autologo), restano in corso di valutazione.
Gli aneurismi arteriosi degli arti rappresentano il 18% degli aneurismi arteriosi. Oltre alla consueta eziologia degenerativa, gli aneurismi arteriosi degli arti hanno varie eziologie, traumatiche e iatrogene, all’origine di pseudoaneurismi dopo cateterismo arterioso. Nella pratica clinica, la grande maggioranza degli aneurismi poplitei è degenerativa, mentre gli aneurismi femorali sono il più delle volte pseudoaneurismi. Gli aneurismi infettivi sono trattati separatamente, siano essi pseudoaneurismi o aneurismi veri. Tutti gli aneurismi arteriosi degli arti possono portare a gravi complicanze, in particolare alla perdita dell’arto per accidente tromboembolico, mentre la rottura è meno frequente. In questo articolo sono passate in rassegna le diverse eziologie e le diverse tecniche chirurgiche a cielo aperto ed endovascolari, specificando le diverse opzioni terapeutiche in funzione della localizzazione dell’aneurisma e della sua eziologia.
Le infezioni delle protesi aortofemorali rappresentano una complicanza rara ma grave della chirurgia di rivascolarizzazione. La gestione di questa complicanza costituisce una sfida chirurgica a causa della sua elevata morbimortalità. La diagnosi di infezione è spesso difficile, a causa dei sintomi clinici talvolta fuorvianti. Gli esami complementari sono necessari per confermare la diagnosi, identificare gli agenti infettivi responsabili e avviare un trattamento appropriato comprendente la terapia antibiotica e la chirurgia. Non c’è consenso sul trattamento chirurgico ottimale delle infezioni di protesi aortica. Al contrario, la strategia terapeutica deve essere adattata a ciascun paziente tenendo conto di diversi fattori. Tuttavia, un trattamento antibiotico appropriato e prolungato è generalmente considerato essenziale. Nell’ambito di un approccio chirurgico radicale, si consiglia di rimuovere la protesi infetta e di effettuare una rivascolarizzazione degli arti inferiori. L’uso corrente dell’allotrapianto arterioso crioconservato offre il vantaggio della rivascolarizzazione in situ e presenta una buona resistenza alle infezioni. Un’altra opzione di rivascolarizzazione consiste in un bypass axillofemorale uni- o bilaterale. I risultati recenti suggeriscono una superiorità della rivascolarizzazione in situ mediante allotrapianto, con una diminuzione della mortalità e dei tassi di amputazione. Tuttavia, l’approccio conservativo deve essere considerato nei pazienti con elevata fragilità.
Le tecniche di chirurgia carotidea comprendono essenzialmente le endoarteriectomie e i bypass. Una lesione limitata al bulbo carotideo si presta all’endoarteriectomia mediante arteriotomia longitudinale o per eversione. La lunghezza eccessiva è un argomento a favore dell’eversione. Lesioni situate in alto sull’arteria carotide interna (ACI) e una piccola ACI sono argomenti a favore della chiusura con patch. A parte lesioni specifiche come la recidiva di stenosi, l’arterite infiammatoria, la displasia e i fallimenti intraoperatori dell’endoarteriectomia, la migliore indicazione per il bypass è l’esistenza di un’endoarterite che si estende molto a monte, a livello dell’arteria carotide comune. Queste tecniche non hanno dimostrato la loro superiorità l’una sull’altra e la maggior parte dei chirurghi privilegia una tecnica a propria scelta, ma tutte devono essere conosciute per potersi adattare in caso di imprevisto.
La chirurgia carotidea mira a prevenire il verificarsi di un accidente vascolare cerebrale (AVC) legato a una lesione di aterosclerosi carotidea. Il suo interesse è ormai ben dimostrato nei casi di stenosi sintomatica, ma rimane oggetto di discussione in un contesto di prevenzione primaria. Dall’introduzione delle statine, il trattamento medico ha in effetti permesso di ridurre significativamente il tasso annuo di AVC di origine carotidea. Il grado di stenosi carotidea rimane il criterio principale dell’indicazione a una chirurgia carotidea. Altri criteri, principalmente morfologici, sono attualmente in fase di studio. Essi potrebbero in futuro svolgere un ruolo nel decidere se realizzare o meno un intervento chirurgico alla carotide.
Riservati in passato alla chirurgia a cielo aperto o all’astensione terapeutica in caso di elevato rischio chirurgico, i pazienti portatori di aneurismi aortici complessi possono ora essere trattati con tecniche puramente endovascolari. Alcune, come le endoprotesi fenestrate, hanno raggiunto un grado avanzato di maturità, tanto da poter essere proposte in prima intenzione nei pazienti a rischio moderato. Questo è ancora dibattuto. In questo capitolo sono descritti i principi tecnici di queste terapie endovascolari.