C. Caradu (Chef de clinique), X. Bérard (Professeur des Universités, praticien hospitalier), E. Ducasse (Professeur des Universités, praticien hospitalier)
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Lo stent carotideo rimane quindi essenzialmente riservato ai pazienti ad alto rischio chirurgico di tromboendoarteriectomia, che comprende rischi tecnici o anatomici (paralisi controlaterale del ricorrente, immobilità del collo, tracheotomia, gravi lesioni tissutali [da radiazioni] o stenosi inaccessibili), clinici (insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ≤ 30%, grave insufficienza respiratoria, cardiopatia ischemica instabile, cardiopatia valvolare grave) ed emodinamici (occlusione della carotide controlaterale). L’analisi preoperatoria deve tenere conto dell’anatomia dell’arco aortico e della lesione e delle condizioni generali del paziente. La tecnica è ormai ben codificata: l’accesso femorale è per il momento il più utilizzato, con un catetere guida o un lungo introduttore che permettono di stabilizzare il materiale a livello della carotide comune, mentre i sistemi di protezione cerebrale e lo stent limitano il rischio embolico. Progressi tecnici, come l’uso di stent a cellule chiuse o addirittura di micromesh (doppio strato), i sistemi di protezione cerebrale mediante inversione di flusso e l’accesso carotideo diretto (che consente di evitare il rischio di embolia durante la navigazione nell’arco aortico) sembrano fornire risultati paragonabili a quelli della tromboendoarteriectomia negli studi preliminari, i cui risultati restano da confermare. 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Chirurgia carotidea: tecniche endovascolari e strategia di trattamento
Lo stent ha dimostrato la sua fattibilità nel trattamento delle stenosi carotidee. Gli studi randomizzati controllati attualmente pubblicati che confrontano lo stent e la tromboendoarteriectomia trovano un beneficio dello stent sui tassi di danno alle coppie di nervi cranici e di ematoma della via d’accesso, ma significativamente più eventi cardiovascolari (ictus) e morti perioperatorie. Questo rischio sembra essere maggiore nei pazienti di età superiore ai 70 anni e nelle stenosi sintomatiche, soprattutto nei primi 14 giorni. Lo stent carotideo rimane quindi essenzialmente riservato ai pazienti ad alto rischio chirurgico di tromboendoarteriectomia, che comprende rischi tecnici o anatomici (paralisi controlaterale del ricorrente, immobilità del collo, tracheotomia, gravi lesioni tissutali [da radiazioni] o stenosi inaccessibili), clinici (insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ≤ 30%, grave insufficienza respiratoria, cardiopatia ischemica instabile, cardiopatia valvolare grave) ed emodinamici (occlusione della carotide controlaterale). L’analisi preoperatoria deve tenere conto dell’anatomia dell’arco aortico e della lesione e delle condizioni generali del paziente. La tecnica è ormai ben codificata: l’accesso femorale è per il momento il più utilizzato, con un catetere guida o un lungo introduttore che permettono di stabilizzare il materiale a livello della carotide comune, mentre i sistemi di protezione cerebrale e lo stent limitano il rischio embolico. Progressi tecnici, come l’uso di stent a cellule chiuse o addirittura di micromesh (doppio strato), i sistemi di protezione cerebrale mediante inversione di flusso e l’accesso carotideo diretto (che consente di evitare il rischio di embolia durante la navigazione nell’arco aortico) sembrano fornire risultati paragonabili a quelli della tromboendoarteriectomia negli studi preliminari, i cui risultati restano da confermare. Le attuali raccomandazioni dovranno quindi potenzialmente essere riviste sulla base dei risultati dei vari studi randomizzati controllati attualmente in corso.