L’uso di anestetici volatili, come l’isoflurano e il sevoflurano, per la sedazione in rianimazione suscita un crescente interesse. Questi agenti ad azione e a eliminazione rapide consentono una sedazione da lieve a profonda, che si integra bene negli attuali protocolli di analgesia-sedazione e che può essere facilitata attraverso la misurazione della frazione espirata dell’anestetico. La somministrazione è assicurata da dispositivi specifici, che riciclano il 90% degli agenti espirati per il ciclo respiratorio successivo, mentre la restante parte deve essere raccolta in sistemi dedicati. Viene utilizzato principalmente il sevoflurano nella maggior parte dei paesi, ma l’isoflurano è stato recentemente approvato ufficialmente in molti paesi per la sedazione dei pazienti adulti sottoposti a ventilazione meccanica invasiva in terapia intensiva. Attualmente, le principali indicazioni per l’uso degli alogenati in rianimazione sono l’insuccesso della sedazione endovenosa, l’asma o il broncospasmo gravi, lo stato di male epilettico refrattario o la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS). Le controindicazioni riguardano i pazienti con precedenti di ipertermia maligna, una sensibilità agli agenti volatili o un rischio di aumento della pressione intracranica. L’uso degli alogenati per la sedazione in rianimazione è stato associato a tempi di risveglio e di estubazione più brevi rispetto al midazolam o al propofol. Tuttavia, questa strategia di sedazione richiede attrezzature specializzate e una formazione specifica. Non presenta rischi di esposizione per il personale sanitario in caso di uso appropriato, che deve essere integrato nelle attuali misure di riduzione dell’impatto ambientale. Restano necessari lavori di ricerca e di valutazione medicoeconomica per precisare l’interesse clinico degli alogenati come strategia di sedazione di prima linea o in determinate circostanze patologiche, come la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) o l’arresto cardiaco recuperato.
Le emorragie ostetriche comprendono i sanguinamenti ante-partum e post-partum. L’emorragia ante-partum complica il 2-4% delle gravidanze. Le cause più frequenti sono la malposizione e il distacco della placenta, anche se l’origine del sanguinamento rimane indeterminata in quasi il 50% dei casi. La quantificazione delle perdite ematiche, in questo particolare contesto, è spesso sottostimata. La valutazione delle ripercussioni richiede quindi la ricerca di segni clinici di insufficienza emodinamica per aiutare a graduare la gravità dell’emorragia e per orientare verso una gestione anestesiologica e ostetrica precoce. L’emorragia del post-partum, da parte sua, complica il 5-10% dei parti a seconda del metodo di quantificazione del sanguinamento. È definita da una perdita ematica superiore o uguale a 500 ml nelle 24 ore dopo un parto vaginale o cesareo. Si parla di emorragia del post-partum grave quando il sanguinamento supera I 1 000 ml. Le principali cause di emorragia del post-partum sono l’atonia uterina, la ritenzione della placenta e la lesione del canale del parto. L’emorragia del post-partum è stata la causa dell’8,4% delle morti materne in Francia tra il 2013 e il 2015 (1,2 decessi per 100 000 nati vivi). La rapidità della diagnosi e della presa in carico sono fondamentali per ridurre la morbimortalità materna legata all’emorragia del post-partum. La gestione sarà sempre multidisciplinare e svolta contemporaneamente tra l’equipe ostetrica e quella anestesiologica. In caso di insuccesso delle misure iniziali (ossitocina, parto artificiale, revisione uterina, esame del canale del parto), la gestione delle forme gravi prevede una rianimazione attiva (riempimento vascolare, agenti vasoattivi), interventi per il controllo del sanguinamento (sulprostone, tamponamento intrauterino, procedure chirurgiche, embolizzazione arteriosa) e la correzione della coagulopatia (somministrazione di prodotti ematici labili e di agenti emostatici).
Il trauma cranico (CT) è la lesione più prequente nei bambini traumatizzati (60-70% dei casi) e circa il 10% è costituito da traumi cranici gravi. L’analisi dell’evoluzione clinica immediatamente dopo l’incidente consente di definire tre categorie di CT: lieve, moderato e grave. Questa classificazione molto semplice permette di stabilire le basi della gestione iniziale e l’orientamento preospedaliero. Esistono differenze fisiologiche tra i traumi cranici gravi nei bambini e negli adulti. L’ipertensione intracranica post-traumatica è più frequente nei bambini, in particolare a causa di una compliance cerebrale inferiore. Allo stesso modo, a causa di una gamma di autoregolazione vascolare cerebrale più ristretta, per una variazione anche modesta della pressione arteriosa media, il flusso ematico cerebrale può variare in modo importante e portare o a un’ischemia cerebrale o a un’iperemia con aumento della pressione intracranica. Per guidare e personalizzare la gestione, sono oggi disponibili numerosi metodi di monitoraggio, ma ognuno ha i suoi limiti e non fornisce le medesime informazioni. È quindi consuetudine associarli, nel contesto di un monitoraggio cerebrale multimodale. Benché i dati siano meno chiari che negli adulti, il mantenimento di una pressione di perfusione cerebrale superiore a 40 mmHg nei più giovani e tra 50 e 60 mmHg nei bambini più grandi sembra essere l’obiettivo terapeutico da raggiungere. La maggior parte delle terapie proposte per gli adulti può essere utilizzata nei bambini, tenendo conto delle particolarità fisiologiche e farmacologiche.
L’ipernatriemia è la conseguenza di uno squilibrio del bilancio idrico, generalmente derivante da un deficit idrico non sufficientemente compensato o da un sovraccarico di sale. La presenza di un’ipernatriemia è associata a un aggravamento della prognosi e la sua gestione è quindi essenziale. Questo articolo presenta la fisiopatologia, le eziologie e i trattamenti di questo disturbo metabolico, che può colpire fino al 15% dei pazienti ricoverati in rianimazione.
Il periodo perioperatorio è un periodo ad alto rischio di eventi tromboembolici, con un rischio di mortalità che resta elevato e una persistenza di sequele cardiorespiratorie in circa il 20% dei pazienti. Il punteggio di Caprini consente di valutare il rischio per un paziente di sviluppare una trombosi nel periodo perioperatorio e può guidare l’inizio della tromboprofilassi. La diagnosi è confermata dall’angio-TC del torace, ma l’ecografia cardiaca è al centro della valutazione del paziente e deve ricercare segni di insufficienza ventricolare destra che testimoniano il rischio di progressione verso l’insufficienza emodinamica. Gli indici di gravità clinica dell’embolia polmonare non sono sufficienti per la valutazione del paziente in fase iniziale e l’ecografia cardiaca e il dosaggio dei biomarcatori, sono indispensabili per definire se il paziente è ad alto rischio, a rischio intermedio o a basso rischio di evoluzione negativa. I pazienti emodinamicamente stabili ma a rischio intermedio devono essere indirizzati a cure continue, dato il rischio di peggioramento nei giorni seguenti. La trombolisi è il trattamento raccomandato in prima intenzione nei pazienti con insufficienza emodinamica in assenza di controindicazioni. Le tecniche di embolectomia rappresentano dal canto loro un trattamento di seconda intenzione in caso di insuccesso o di controindicazione alla trombolisi. La gestione delle embolie polmonari gravi si basa sul trattamento dell’ipossiemia, dell’insufficienza ventricolare destra e, in caso di insufficienza emodinamica refrattaria, sull’assistenza con ECMO (ossigenazione con membrana extracorporea) venoarteriosa.