Pub Date : 2022-12-31DOI: 10.17473/1971-6818-2021-3-4
P. Caravelli, E. Orsini, R. Pedrinelli, L. Bertini, Enrico Calogero, M. Marzilli
Background. Hypercholesterolemia and inflammation both contribute to the pathogenesis of atherosclerosis and its clinical manifestations. Statins, possessing both lipid-lowering and anti-inflammatory properties, are currently recommended in all ischemic syndromes. Purpose. To compare the effects of atorvastatin and rosuvastatin on lipid and inflammatory markers in patients with acute coronary syndromes (ACS). Methods. Two hundred thirty-nine consecutive patients with ACS, without familial hypercholesterolaemia and no statin treatment in the preceding 4 weeks, were randomly assigned within 24 hours after hospital admission to either atorvastatin 80 mg (119 patients) or rosuvastatin 20 mg (120 patients). Lipid and inflammatory markers were assessed before randomization and after 4 and 12 weeks of treatment. Results. Both statins similarly reduced total cholesterol and LDL-cholesterol at 4 weeks, with substantial stability at 12 weeks. At 4 weeks, LDL-cholesterol decreased from 129 mg/dL to 71 mg/dL in atorvastatin group and from 126 mg/dL to 71 mg/dL in rosuvastatin group. Apolipoprotein B significantly decreased in both groups. Otherwise, apolipoprotein A1 increased in rosuvastatin group only. As a consequence, ApoB/ApoA1 ratio decreased more in rosuvastatin group. No significant differences were seen in triglycerides, HDL-cholesterol and Lipoprotein (a) levels. Among inflammatory markers, hs-CRP, interleukin-6, interleukin 1-RA, TGF-β1, and MMP-9 significantly and similarly decreased at 4 and 12 weeks in both groups. Interleukin-10 levels decreased only in patients randomized to atorvastatin. Conclusions. A moderate dose of rosuvastatin provided similar effects, as compared to a high dose of atorvastatin, on a large series of lipid and inflammatory markers. Rosuvastatin was more effective than atorvastatin in reducing ApoB/ApoA1. Considering these findings, rosuvastatin 20 mg daily may be an alternative to atorvastatin 80 mg in acute coronary syndromes.
{"title":"Rosuvastatin and atorvastatin in patients with acute coronary syndromes: head-to-head comparison of lipid-lowering and anti-inflammatory effects","authors":"P. Caravelli, E. Orsini, R. Pedrinelli, L. Bertini, Enrico Calogero, M. Marzilli","doi":"10.17473/1971-6818-2021-3-4","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2021-3-4","url":null,"abstract":"Background. Hypercholesterolemia and inflammation both contribute to the pathogenesis of atherosclerosis and its clinical manifestations. Statins, possessing both lipid-lowering and anti-inflammatory properties, are currently recommended in all ischemic syndromes. Purpose. To compare the effects of atorvastatin and rosuvastatin on lipid and inflammatory markers in patients with acute coronary syndromes (ACS). Methods. Two hundred thirty-nine consecutive patients with ACS, without familial hypercholesterolaemia and no statin treatment in the preceding 4 weeks, were randomly assigned within 24 hours after hospital admission to either atorvastatin 80 mg (119 patients) or rosuvastatin 20 mg (120 patients). Lipid and inflammatory markers were assessed before randomization and after 4 and 12 weeks of treatment. Results. Both statins similarly reduced total cholesterol and LDL-cholesterol at 4 weeks, with substantial stability at 12 weeks. At 4 weeks, LDL-cholesterol decreased from 129 mg/dL to 71 mg/dL in atorvastatin group and from 126 mg/dL to 71 mg/dL in rosuvastatin group. Apolipoprotein B significantly decreased in both groups. Otherwise, apolipoprotein A1 increased in rosuvastatin group only. As a consequence, ApoB/ApoA1 ratio decreased more in rosuvastatin group. No significant differences were seen in triglycerides, HDL-cholesterol and Lipoprotein (a) levels. Among inflammatory markers, hs-CRP, interleukin-6, interleukin 1-RA, TGF-β1, and MMP-9 significantly and similarly decreased at 4 and 12 weeks in both groups. Interleukin-10 levels decreased only in patients randomized to atorvastatin. Conclusions. A moderate dose of rosuvastatin provided similar effects, as compared to a high dose of atorvastatin, on a large series of lipid and inflammatory markers. Rosuvastatin was more effective than atorvastatin in reducing ApoB/ApoA1. Considering these findings, rosuvastatin 20 mg daily may be an alternative to atorvastatin 80 mg in acute coronary syndromes.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"14 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2022-12-31","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"87926360","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2022-12-09DOI: 10.17473/1971-6818-2022-3-6
M. Marzilli
Quando Attilio Maseri arrivò a Pisa, dopo un periodo di intensa attività scientifica in alcune delle più prestigiose Università americane, io ero al 5° anno di Medicina, allievo interno dell’Istituto di Patologia Medica, diretto dal Prof. Luigi Donato. Passarono pochi giorni e il Direttore mi chiamò per dirmi che ero stato assegnato al gruppo del Prof. Maseri, denominato Gruppo Coronarico e che il Gruppo si sarebbe dedicato allo studio della Fisiologia Clinica del circolo coronarico. Ne fui felice, anche se non potevo ancora immaginare quale privilegio mi fosse toccato. E l’avventura cominciò subito, appena venne aperta l’Unità di Terapia Intensiva Coronarica dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, con Attilio come Direttore. Attilio ci insegnò che non c’è mai nulla di scontato e che quello che “non tornava” era molto più stimolante di quello che tornava. E lavorando in UTIC con occhi “wide open”, di cose che “non tornavano” ne capitavano tutti giorni.
{"title":"I grandi cardiologi. Omaggio ad Attilio Maseri","authors":"M. Marzilli","doi":"10.17473/1971-6818-2022-3-6","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2022-3-6","url":null,"abstract":"Quando Attilio Maseri arrivò a Pisa, dopo un periodo di intensa attività scientifica in alcune delle più prestigiose Università americane, io ero al 5° anno di Medicina, allievo interno dell’Istituto di Patologia Medica, diretto dal Prof. Luigi Donato. Passarono pochi giorni e il Direttore mi chiamò per dirmi che ero stato assegnato al gruppo del Prof. Maseri, denominato Gruppo Coronarico e che il Gruppo si sarebbe dedicato allo studio della Fisiologia Clinica del circolo coronarico. Ne fui felice, anche se non potevo ancora immaginare quale privilegio mi fosse toccato. E l’avventura cominciò subito, appena venne aperta l’Unità di Terapia Intensiva Coronarica dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, con Attilio come Direttore. Attilio ci insegnò che non c’è mai nulla di scontato e che quello che “non tornava” era molto più stimolante di quello che tornava. E lavorando in UTIC con occhi “wide open”, di cose che “non tornavano” ne capitavano tutti giorni.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"144 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2022-12-09","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"74761127","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2022-12-09DOI: 10.17473/1971-6818-2022-3-5
Alfio Ernesto Bianchi, Patrizia Strappazzon, A. Maggi, Riccardo Raddino
Il tessuto adiposo ectopico e quello perivascolare possono diventare un fattore di rischio cardiovascolare per l’ingresso all’interno del tessuto stesso di molecole infiammatorie Questa trasformazione del tessuto adiposo può favorire la progressione di malattia in organi e vasi e particolari situazioni cliniche come la fibrillazione atriale, lo scompenso, la vasculopatia cerebrale e la malattia coronarica. La radiomica che è una nuova e più avanzata tomografia computerizzata, permette di qualificare e quantificare il tessuto adiposo cosi trasformato. Essa permette inoltre una migliore definizione del rischio cardiovascolare e permette di inquadrare la malattia aterosclerotica già in una fase precoce favorendo, se necessario, un trattamento terapeutico, altrettanto precoce.
{"title":"Il tessuto adiposo epicardico e perivascolare. Un fattore di rischio cardiovascolare emergente","authors":"Alfio Ernesto Bianchi, Patrizia Strappazzon, A. Maggi, Riccardo Raddino","doi":"10.17473/1971-6818-2022-3-5","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2022-3-5","url":null,"abstract":"Il tessuto adiposo ectopico e quello perivascolare possono diventare un fattore di rischio cardiovascolare per l’ingresso all’interno del tessuto stesso di molecole infiammatorie Questa trasformazione del tessuto adiposo può favorire la progressione di malattia in organi e vasi e particolari situazioni cliniche come la fibrillazione atriale, lo scompenso, la vasculopatia cerebrale e la malattia coronarica. La radiomica che è una nuova e più avanzata tomografia computerizzata, permette di qualificare e quantificare il tessuto adiposo cosi trasformato. Essa permette inoltre una migliore definizione del rischio cardiovascolare e permette di inquadrare la malattia aterosclerotica già in una fase precoce favorendo, se necessario, un trattamento terapeutico, altrettanto precoce.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"57 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2022-12-09","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"88564233","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2022-12-09DOI: 10.17473/1971-6818-2022-3-8
C. D’Ambrosio, Divina Traficante
Il forame ovale pervio (PFO) è una condizione comune nella popolazione sana (circa una persona su tre ne è portatrice, con prevalenza variabile al variare dell’età) dovuta alla persistenza dopo la nascita di una comunicazione fra atrio destro e atrio sinistro del cuore. Questa comunicazione, che non è un vero foro quanto piuttosto un tunnel, è presente in tutti gli esseri umani durante la vita fetale ed è indispensabile alla ossigenazione del sangue fino alla nascita. Dopo pochi giorni o settimane dalla nascita il forame ovale tende spontaneamente a chiudersi. Tuttavia, questo processo di chiusura può risultare incompleto in una percentuale elevata di persone. L’eventuale persistenza del forame ovale pervio non ha conseguenze sul normale funzionamento del cuore e non è da considerare di per sé una cardiopatia. La sua importanza in medicina deriva principalmente dalla possibilità che in alcuni pazienti essa può rappresentare la causa di un ictus cerebrale ischemico attraverso un fenomeno raro chiamato embolia paradossa (passaggio di un piccolo trombo dalla circolazione venosa a quella arteriosa attraverso la comunicazione fra i due atri). La chiusura di un forame ovale pervio (PFO) in pazienti dopo ictus criptogeno/cardioembolico è raccomandata dalle attuali linee guida per i pazienti di età compresa tra 16 e 60 anni con un PFO ad alto rischio (classe di raccomandazione A, livello di evidenza I). In questo caso clinico presentiamo una giovane paziente con carcinoma mammario e forame ovale pervio in attesa di trattamento neoadiuvante a base di antracicline e taxani, con elevato rischio di TEV e di cardiotossicità.
{"title":"Pervietà del forame ovale in una giovane paziente affetta da carcinoma mammario: un caso clinico delicato","authors":"C. D’Ambrosio, Divina Traficante","doi":"10.17473/1971-6818-2022-3-8","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2022-3-8","url":null,"abstract":"Il forame ovale pervio (PFO) è una condizione comune nella popolazione sana (circa una persona su tre ne è portatrice, con prevalenza variabile al variare dell’età) dovuta alla persistenza dopo la nascita di una comunicazione fra atrio destro e atrio sinistro del cuore. Questa comunicazione, che non è un vero foro quanto piuttosto un tunnel, è presente in tutti gli esseri umani durante la vita fetale ed è indispensabile alla ossigenazione del sangue fino alla nascita. Dopo pochi giorni o settimane dalla nascita il forame ovale tende spontaneamente a chiudersi. Tuttavia, questo processo di chiusura può risultare incompleto in una percentuale elevata di persone. L’eventuale persistenza del forame ovale pervio non ha conseguenze sul normale funzionamento del cuore e non è da considerare di per sé una cardiopatia. La sua importanza in medicina deriva principalmente dalla possibilità che in alcuni pazienti essa può rappresentare la causa di un ictus cerebrale ischemico attraverso un fenomeno raro chiamato embolia paradossa (passaggio di un piccolo trombo dalla circolazione venosa a quella arteriosa attraverso la comunicazione fra i due atri). La chiusura di un forame ovale pervio (PFO) in pazienti dopo ictus criptogeno/cardioembolico è raccomandata dalle attuali linee guida per i pazienti di età compresa tra 16 e 60 anni con un PFO ad alto rischio (classe di raccomandazione A, livello di evidenza I). In questo caso clinico presentiamo una giovane paziente con carcinoma mammario e forame ovale pervio in attesa di trattamento neoadiuvante a base di antracicline e taxani, con elevato rischio di TEV e di cardiotossicità.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"49 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2022-12-09","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"81011216","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2022-12-09DOI: 10.17473/1971-6818-2022-3-4
Angelica Cersosimo, Ricccardo Raddino
L’attivazione a lungo termine del sistema nervoso simpatico gioca un ruolo importante nella progressione dello scompenso cardiaco e nel rischio di morte improvvisa. Il ruolo del beta-bloccanti nei pazienti con insufficienza cardiaca rappresenta la pietra miliare della terapia dello scompenso cardiaco attraverso i risultati di molteplici studi. I beta-bloccanti migliorano significativamente la funzione ventricolare, la morbilità e la mortalità. Pertanto, questi farmaci devono essere somministrati con cautela e successivamente titolata la dose poiché all’inizio si assiste ad un peggioramento transitorio dei sintomi. Una volta iniziato il trattamento e raggiunto il dosaggio di mantenimento, il trattamento deve essere continuato al dosaggio massimo tollerato dal paziente. In questa review si discuterà del ruolo dei BB, dai risultati dei primi trial alla pratica clinica quotidiana.
{"title":"Il Betablocco: dalle consolidate evidenze dei trial ad una scelta terapeutica ragionata nella attuale pratica clinica","authors":"Angelica Cersosimo, Ricccardo Raddino","doi":"10.17473/1971-6818-2022-3-4","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2022-3-4","url":null,"abstract":"L’attivazione a lungo termine del sistema nervoso simpatico gioca un ruolo importante nella progressione dello scompenso cardiaco e nel rischio di morte improvvisa. Il ruolo del beta-bloccanti nei pazienti con insufficienza cardiaca rappresenta la pietra miliare della terapia dello scompenso cardiaco attraverso i risultati di molteplici studi. I beta-bloccanti migliorano significativamente la funzione ventricolare, la morbilità e la mortalità. Pertanto, questi farmaci devono essere somministrati con cautela e successivamente titolata la dose poiché all’inizio si assiste ad un peggioramento transitorio dei sintomi. Una volta iniziato il trattamento e raggiunto il dosaggio di mantenimento, il trattamento deve essere continuato al dosaggio massimo tollerato dal paziente. In questa review si discuterà del ruolo dei BB, dai risultati dei primi trial alla pratica clinica quotidiana.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"111 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2022-12-09","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"79622499","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2022-12-09DOI: 10.17473/1971-6818-2022-3-2
A. Boccanelli
L’aumento dell’età media della popolazione a cui si è assistito negli ultimi 40 anni ha reso epidemiologicamente rilevanti le valvulopatie degenerative, tra cui la Stenosi Valvolare Aortica (SAV). La diagnosi precoce di questa condizione può consentire di allungare anche non di poco la vita dei pazienti e sicuramente migliorarne la qualità. Una causa possibile della sottodiagnosi della SAV è la scarsa consapevolezza del peso epidemiologico della malattia. La prevalenza della SAV moderata-severa nella popolazione generale tra i 70 e i 75 anni è di circa il 2%, crescente con l’età. La sclerosi valvolare aortica, premessa per lo sviluppo nel tempo di SAV, è presente nel 34% della popolazione oltre i 65 anni. Nei pazienti asintomatici con SAV moderata-severa, durante un periodo di follow up medio di 2 anni circa, il 39,4% sviluppa sintomi tali da giustificare la sostituzione valvolare. Circa il 50% dei pazienti con SAV da moderata a severa non riferisce sintomi. In letteratura, il rischio di morte improvvisa nella fase silente della SAV varia dallo 0,25% al 1,7% per anno. È molto frequente che i pazienti con SAV riferiscano con ritardo i propri sintomi. Se si considera una mortalità annua del 30% in presenza di sintomi, il loro riconoscimento precoce e il tempestivo avvio a sostituzione protesica sono fondamentali Da queste considerazioni emerge la necessità di una diagnosi precoce e possibilmente ad uno stadio di minore gravità, attraverso campagne di screening istituzionale.
{"title":"Stenosi aortica, un problema ad alta prevalenza e morbilità","authors":"A. Boccanelli","doi":"10.17473/1971-6818-2022-3-2","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2022-3-2","url":null,"abstract":"L’aumento dell’età media della popolazione a cui si è assistito negli ultimi 40 anni ha reso epidemiologicamente rilevanti le valvulopatie degenerative, tra cui la Stenosi Valvolare Aortica (SAV). La diagnosi precoce di questa condizione può consentire di allungare anche non di poco la vita dei pazienti e sicuramente migliorarne la qualità. Una causa possibile della sottodiagnosi della SAV è la scarsa consapevolezza del peso epidemiologico della malattia. La prevalenza della SAV moderata-severa nella popolazione generale tra i 70 e i 75 anni è di circa il 2%, crescente con l’età. La sclerosi valvolare aortica, premessa per lo sviluppo nel tempo di SAV, è presente nel 34% della popolazione oltre i 65 anni. Nei pazienti asintomatici con SAV moderata-severa, durante un periodo di follow up medio di 2 anni circa, il 39,4% sviluppa sintomi tali da giustificare la sostituzione valvolare. Circa il 50% dei pazienti con SAV da moderata a severa non riferisce sintomi. In letteratura, il rischio di morte improvvisa nella fase silente della SAV varia dallo 0,25% al 1,7% per anno. È molto frequente che i pazienti con SAV riferiscano con ritardo i propri sintomi. Se si considera una mortalità annua del 30% in presenza di sintomi, il loro riconoscimento precoce e il tempestivo avvio a sostituzione protesica sono fondamentali Da queste considerazioni emerge la necessità di una diagnosi precoce e possibilmente ad uno stadio di minore gravità, attraverso campagne di screening istituzionale.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"14 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2022-12-09","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"84492610","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2022-12-09DOI: 10.17473/1971-6818-2022-3-3
Walter Grosso Marra, M. Cannillo, Enrica Lonni
L’ipertensione arteriosa polmonare è una malattia rara, caratterizzata da incremento delle pressioni nel circolo arterioso polmonare. In passato tale patologia era considerata incurabile, ma grazie alla scoperta di nuove molecole farmacologiche, e soprattutto grazie a un approccio terapeutico basato su alcuni punti chiave (terapia precoce, che agisce su più vie, guidata dal raggiungimento dei target terapeutici) la morbilità e la mortalità si sono ridotte. Le ultime linee guida hanno introdotto alcune importanti novità.
{"title":"Terapia dell’ipertensione arteriosa polmonare: dubbi e certezze","authors":"Walter Grosso Marra, M. Cannillo, Enrica Lonni","doi":"10.17473/1971-6818-2022-3-3","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2022-3-3","url":null,"abstract":"L’ipertensione arteriosa polmonare è una malattia rara, caratterizzata da incremento delle pressioni nel circolo arterioso polmonare. In passato tale patologia era considerata incurabile, ma grazie alla scoperta di nuove molecole farmacologiche, e soprattutto grazie a un approccio terapeutico basato su alcuni punti chiave (terapia precoce, che agisce su più vie, guidata dal raggiungimento dei target terapeutici) la morbilità e la mortalità si sono ridotte. Le ultime linee guida hanno introdotto alcune importanti novità.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"27 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2022-12-09","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"79600442","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2022-12-09DOI: 10.17473/1971-6818-2022-3-7
Vincenzo Carfora, Agostino Lopizzo
La dissezione coronarica spontanea (SCAD) rappresenta una causa importante di sindrome coronarica acuta (SCA) nelle giovani donne senza classici fattori di rischio cardiovascolare. La coronarografia non sempre riesce a riconoscere le diverse tipologie di dissezioni coronariche spontanee dovendo pertanto ricorrere all’imaging intracoronarico per poterla diagnosticare. Il trattamento prevede l’approccio non invasivo con terapia farmacologica ricorrendo all’angioplastica coronarica solo nelle forme instabili. Viene descritto il caso di una donna di 55 anni, ipertesa in buon controllo farmacologico e senza altri fattori di rischio cardiovascolare che durante angioplastica coronarica su arteria interventricolare anteriore va incontro a dissezione retrograda dell’arteria interventricolare anteriore prossimale e del tronco comune trattata con approccio multistent. La modalità con cui si è verificata la dissezione retrograda, il sesso, l’età della paziente, la rivalutazione dell’angioplastica primaria praticata due mesi prima sull’asse arteria circonflessa-ramo marginale ottuso e l’anamnesi familiare hanno indotto a prendere in considerazione la SCAD come diagnosi più probabile ed il fenomeno dello “squeezing” come causa della dissezione retrograda a seguito della pre-dilatazionedella lesione coronarica. L’imaging intracoronarico sarebbe stata l’unica metodica in grado di diagnosticare la SCAD consentendo quindi di ricorrere all’approccio farmacologico piuttosto che l’angioplastica coronarica.
{"title":"Dissezione coronarica spontanea, quanto conta la familiarità?","authors":"Vincenzo Carfora, Agostino Lopizzo","doi":"10.17473/1971-6818-2022-3-7","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2022-3-7","url":null,"abstract":"La dissezione coronarica spontanea (SCAD) rappresenta una causa importante di sindrome coronarica acuta (SCA) nelle giovani donne senza classici fattori di rischio cardiovascolare. La coronarografia non sempre riesce a riconoscere le diverse tipologie di dissezioni coronariche spontanee dovendo pertanto ricorrere all’imaging intracoronarico per poterla diagnosticare. Il trattamento prevede l’approccio non invasivo con terapia farmacologica ricorrendo all’angioplastica coronarica solo nelle forme instabili. Viene descritto il caso di una donna di 55 anni, ipertesa in buon controllo farmacologico e senza altri fattori di rischio cardiovascolare che durante angioplastica coronarica su arteria interventricolare anteriore va incontro a dissezione retrograda dell’arteria interventricolare anteriore prossimale e del tronco comune trattata con approccio multistent. La modalità con cui si è verificata la dissezione retrograda, il sesso, l’età della paziente, la rivalutazione dell’angioplastica primaria praticata due mesi prima sull’asse arteria circonflessa-ramo marginale ottuso e l’anamnesi familiare hanno indotto a prendere in considerazione la SCAD come diagnosi più probabile ed il fenomeno dello “squeezing” come causa della dissezione retrograda a seguito della pre-dilatazionedella lesione coronarica. L’imaging intracoronarico sarebbe stata l’unica metodica in grado di diagnosticare la SCAD consentendo quindi di ricorrere all’approccio farmacologico piuttosto che l’angioplastica coronarica.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"58 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2022-12-09","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"82989615","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2022-12-09DOI: 10.17473/1971-6818-2022-3-1
E. Orsini, Ettore Antonsecchi
Il trattamento delle sindromi coronariche croniche (SCC) è ancora oggi influenzato dai risultati di vecchi trials di confronto fra bypass aortocoronarico e terapia medica, condotti negli anni ’70 e da studi osservazionali. Da questi studi era emersa la superiorità della rivascolarizzazione chirurgica o percutanea sulla mortalità, rispetto alla gestione conservativa, nei pazienti ad alto rischio anatomico o ischemico. Parallelamente alle nuove acquisizioni patogenetiche, che hanno accertato la natura multifattoriale delle SCC e contemporaneamente allo sviluppo dei moderni farmaci in grado di incidere positivamente sull’outcome delle malattie cardiovascolari, una serie di studi controllati ha confrontato in tempi più recenti la terapia medica ottimale (OMT) con la rivascolarizzazione, accertando l’assenza di benefici incrementali delle strategie invasive, rispetto alle strategie conservative, nei pazienti con SCC. Il trasferimento di queste nuove evidenze dalla teoria alla pratica è tuttavia lento ed insufficiente e la quasi totalità dei pazienti con SCC è ancora oggi trattato invasivamente, in deroga ai principi di appropriatezza e di rispetto delle raccomandazioni delle linee guida. ARCA Registry, uno studio osservazionale, prospettico, progettato e condotto dalla Società Scientifica A.R.C.A., ha accertato l’efficacia e la sicurezza di un modello di gestione dell’angina stabile, raccomandato dalle linee guida e consistente nella OMT quale trattamento inziale in tutti i pazienti ed il ricorso selettivo ed individualizzato alla coronarografia e alla rivascolarizzazione solo nei pazienti non responsivi o ad alto rischio. I risultati di ARCA Registry dovrebbero facilitare il trasferimento alla pratica clinica delle nuove evidenze, migliorando l’appropriatezza gestionale delle SCC.
慢性冠状动脉疾病(SCC)的治疗仍然受到上世纪70年代进行的主动脉冠状动脉旁路手术和医疗治疗之间的比较试验结果以及观察研究的影响。这些研究表明,在解剖学或缺血性高危患者中,手术或经皮再血管化比保守治疗更有利于死亡率。patogenetiche新收购的同时,确定了SCC的多方面性质和现代的同时发展心血管疾病的药物能够sull’outcome产生积极影响,一系列对照研究比较了最佳治疗(OMT)最近与增量rivascolarizzazione,缺乏效益保守战略相比,入侵战略SCC患者。然而,这些新证据从理论到实践的转移是缓慢和不足的,几乎所有SCC患者仍然受到侵入性的治疗,这违反了适当性和遵守指导方针建议的原则。方舟注册出口,前瞻性研究,科学设计和社会发起。R . C . A .,确定了管理模式的有效性和安全性心绞痛稳定的指导方针和建议,即OMT作为初始治疗,所有患者和选择性和个性化的和使用rivascolarizzazione不仅仅responsivi或高风险患者中。方舟登记的结果应有助于将新的证据转移到临床实践,提高SCC的管理能力。
{"title":"ARCA Registry. Nuove evidenze nella gestione delle sindromi coronariche croniche","authors":"E. Orsini, Ettore Antonsecchi","doi":"10.17473/1971-6818-2022-3-1","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2022-3-1","url":null,"abstract":"Il trattamento delle sindromi coronariche croniche (SCC) è ancora oggi influenzato dai risultati di vecchi trials di confronto fra bypass aortocoronarico e terapia medica, condotti negli anni ’70 e da studi osservazionali. Da questi studi era emersa la superiorità della rivascolarizzazione chirurgica o percutanea sulla mortalità, rispetto alla gestione conservativa, nei pazienti ad alto rischio anatomico o ischemico. Parallelamente alle nuove acquisizioni patogenetiche, che hanno accertato la natura multifattoriale delle SCC e contemporaneamente allo sviluppo dei moderni farmaci in grado di incidere positivamente sull’outcome delle malattie cardiovascolari, una serie di studi controllati ha confrontato in tempi più recenti la terapia medica ottimale (OMT) con la rivascolarizzazione, accertando l’assenza di benefici incrementali delle strategie invasive, rispetto alle strategie conservative, nei pazienti con SCC. Il trasferimento di queste nuove evidenze dalla teoria alla pratica è tuttavia lento ed insufficiente e la quasi totalità dei pazienti con SCC è ancora oggi trattato invasivamente, in deroga ai principi di appropriatezza e di rispetto delle raccomandazioni delle linee guida. ARCA Registry, uno studio osservazionale, prospettico, progettato e condotto dalla Società Scientifica A.R.C.A., ha accertato l’efficacia e la sicurezza di un modello di gestione dell’angina stabile, raccomandato dalle linee guida e consistente nella OMT quale trattamento inziale in tutti i pazienti ed il ricorso selettivo ed individualizzato alla coronarografia e alla rivascolarizzazione solo nei pazienti non responsivi o ad alto rischio. I risultati di ARCA Registry dovrebbero facilitare il trasferimento alla pratica clinica delle nuove evidenze, migliorando l’appropriatezza gestionale delle SCC.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"16 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2022-12-09","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"88771523","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2022-07-31DOI: 10.17473/1971-6818-2022-2-9
I. Parrini
La fibrillazione atriale (FA) è l’aritmia sopraventricolare più comune nella popolazione generale con un aumento dell’incidenza con l’età. La FA può preesistere nei pazienti dopo una diagnosi di cancro o insorgere in pazienti con cancro attivo. La concomitanza tra FA e cancro ha portato a selezionare il trattamento anticoagulante valutando rischio e benefico di una profilassi tromboembolica. Il dilemma più rilevante è non solo il rischio trombotico, ma particolare attenzione si deve porre al rischio di sanguinamento correlato al tipo e stadio del tumore, alle interazioni con chemioterapici, alla diatesi emorragica e alla trombocitopenia. Il processo decisionale nella scelta della terapia anticoagulante per la prevenzione del tromboembolismo nei pazienti con cancro attivo e fibrillazione atriale resta impegnativo, rimanendo una sfida per il clinico. Le eparine a basso peso molecolare (EBPM) hanno indicazioni specifiche, il trattamento con warfarin rimane difficile mentre gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) sono promettenti ma sussistono molte problematiche aperte. Lo scopo di questa review è quello di valutare la scelta della terapia anticoagulante nei pazienti con cancro attivo e FA.
{"title":"La fibrillazione atriale durante chemioterapia. Quale terapia anticoagulante?","authors":"I. Parrini","doi":"10.17473/1971-6818-2022-2-9","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2022-2-9","url":null,"abstract":"La fibrillazione atriale (FA) è l’aritmia sopraventricolare più comune nella popolazione generale con un aumento dell’incidenza con l’età. La FA può preesistere nei pazienti dopo una diagnosi di cancro o insorgere in pazienti con cancro attivo. La concomitanza tra FA e cancro ha portato a selezionare il trattamento anticoagulante valutando rischio e benefico di una profilassi tromboembolica. Il dilemma più rilevante è non solo il rischio trombotico, ma particolare attenzione si deve porre al rischio di sanguinamento correlato al tipo e stadio del tumore, alle interazioni con chemioterapici, alla diatesi emorragica e alla trombocitopenia. Il processo decisionale nella scelta della terapia anticoagulante per la prevenzione del tromboembolismo nei pazienti con cancro attivo e fibrillazione atriale resta impegnativo, rimanendo una sfida per il clinico. Le eparine a basso peso molecolare (EBPM) hanno indicazioni specifiche, il trattamento con warfarin rimane difficile mentre gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) sono promettenti ma sussistono molte problematiche aperte. Lo scopo di questa review è quello di valutare la scelta della terapia anticoagulante nei pazienti con cancro attivo e FA.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"4 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2022-07-31","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"75624188","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}