Pub Date : 2021-05-30DOI: 10.17473/1971-6818-2021-1-6
A. Cardinale, Francesco Paolo Calciano
La medicina dovrebbe essere un gioco di squadra, oggi sempre declamato ma poco realizzato. Andare al di là dell'individualismo, valido in ogni disciplina, lo è anche in ambito angiologico. La gestione della insufficienza venosa cronica (IVC) coinvolge diversi specialisti, dal medico di medicina generale (MMG), all’angiologo, al cardiologo, al nutrizionista, al ginecologo, al chirurgo vascolare per citarne alcuni. La prevalenza dell’IVC è elevata: un italiano su due è colpito da questa malattia. L’età media di chi la contrae è in genere sopra i 50 anni, e sono le donne a esserne maggiormente colpite. I segni clinici sono correlati alle alterazioni fisiopatologiche. Il quadro clinico della IVC è caratterizzato da sintomi e segni legati all’ipertensione venosa, con alterazioni strutturali o funzionali delle vene. Vengono richiamati i punti fondamentali della fisiopatologia della IVC: ipertensione venosa passiva, stasi, aumento della permeabilità, disfunzione endoteliale, attivazione infiammatoria. La diagnosi di trombosi venosa profonda (TVP) è sottostimata. Il gold-standard diagnostico è l’eco-color-Doppler con l’utilizzo della ultrasonografia per compressione semplificata (CUS). Nell’era della digitalizzazione è nata l’esigenza di realizzare un database condiviso da tutti, con dati uniformi, per cui da alcuni anni è stata messa a punto la MEVec (mappa venosa emodinamica). Infine viene sottolineata l’importanza della tempestività nell'iniziare la terapia medica seguendo le linee guide emanate dalle società scientifiche per ridurre morbilità e mortalità associate e contrastare l’incidenza di sequele a distanza.
{"title":"Insufficienza venosa cronica: epidemiologia, fisiopatologia e diagnosi","authors":"A. Cardinale, Francesco Paolo Calciano","doi":"10.17473/1971-6818-2021-1-6","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2021-1-6","url":null,"abstract":"La medicina dovrebbe essere un gioco di squadra, oggi sempre declamato ma poco realizzato. Andare al di là dell'individualismo, valido in ogni disciplina, lo è anche in ambito angiologico. La gestione della insufficienza venosa cronica (IVC) coinvolge diversi specialisti, dal medico di medicina generale (MMG), all’angiologo, al cardiologo, al nutrizionista, al ginecologo, al chirurgo vascolare per citarne alcuni. La prevalenza dell’IVC è elevata: un italiano su due è colpito da questa malattia. L’età media di chi la contrae è in genere sopra i 50 anni, e sono le donne a esserne maggiormente colpite. I segni clinici sono correlati alle alterazioni fisiopatologiche. Il quadro clinico della IVC è caratterizzato da sintomi e segni legati all’ipertensione venosa, con alterazioni strutturali o funzionali delle vene. Vengono richiamati i punti fondamentali della fisiopatologia della IVC: ipertensione venosa passiva, stasi, aumento della permeabilità, disfunzione endoteliale, attivazione infiammatoria. La diagnosi di trombosi venosa profonda (TVP) è sottostimata. Il gold-standard diagnostico è l’eco-color-Doppler con l’utilizzo della ultrasonografia per compressione semplificata (CUS). Nell’era della digitalizzazione è nata l’esigenza di realizzare un database condiviso da tutti, con dati uniformi, per cui da alcuni anni è stata messa a punto la MEVec (mappa venosa emodinamica). Infine viene sottolineata l’importanza della tempestività nell'iniziare la terapia medica seguendo le linee guide emanate dalle società scientifiche per ridurre morbilità e mortalità associate e contrastare l’incidenza di sequele a distanza.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"11 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2021-05-30","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"84780459","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2021-05-30DOI: 10.17473/1971-6818-2021-1-7
Maria Maddalena De Francesco, Damiano Cardinale
La trombosi venosa profonda (TVP) è l’ostruzione completa o parziale di una o più vene del circolo venoso profondo degli arti e/o dell’addome e pelvi. È la terza causa di morte più comune dopo l’infarto miocardico e l’ictus ischemico perché può determinare un’embolia polmonare (EP) con rischio di morte improvvisa, precoce o tardiva. In assenza di un tempestivo trattamento anticoagulante adeguato questa temibile complicanza si può verificare fino al 50% dei casi nei primi 3 mesi. È di fondamentale importanza la terapia e l’avvento dei Nuovi Anticoagulanti Orali (NAO) ha rapidamente cambiato gli attuali paradigmi sul trattamento del tromboembolismo venoso finora basato sull’uso embricato degli anticoagulanti iniettabili (eparina non frazionata, eparine a basso peso molecolare e fondaparinux) e degli antagonisti orali della vitamina K(AVK), trattamento complesso e talora problematico. La TVP è una complicanza frequente anche nei pazienti oncologici ed è causa frequente di morbilità e mortalità. Il trattamento ottimale nei pazienti con neoplasia maligna obbliga il clinico alla valutazione di alcuni parametri tra cui il rischio di sanguinamento, l’interazione con farmaci chemioterapici e la tipologia di cancro di cui il paziente è affetto.
{"title":"La terapia della trombosi venosa profonda","authors":"Maria Maddalena De Francesco, Damiano Cardinale","doi":"10.17473/1971-6818-2021-1-7","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2021-1-7","url":null,"abstract":"La trombosi venosa profonda (TVP) è l’ostruzione completa o parziale di una o più vene del circolo venoso profondo degli arti e/o dell’addome e pelvi. È la terza causa di morte più comune dopo l’infarto miocardico e l’ictus ischemico perché può determinare un’embolia polmonare (EP) con rischio di morte improvvisa, precoce o tardiva. In assenza di un tempestivo trattamento anticoagulante adeguato questa temibile complicanza si può verificare fino al 50% dei casi nei primi 3 mesi. È di fondamentale importanza la terapia e l’avvento dei Nuovi Anticoagulanti Orali (NAO) ha rapidamente cambiato gli attuali paradigmi sul trattamento del tromboembolismo venoso finora basato sull’uso embricato degli anticoagulanti iniettabili (eparina non frazionata, eparine a basso peso molecolare e fondaparinux) e degli antagonisti orali della vitamina K(AVK), trattamento complesso e talora problematico. La TVP è una complicanza frequente anche nei pazienti oncologici ed è causa frequente di morbilità e mortalità. Il trattamento ottimale nei pazienti con neoplasia maligna obbliga il clinico alla valutazione di alcuni parametri tra cui il rischio di sanguinamento, l’interazione con farmaci chemioterapici e la tipologia di cancro di cui il paziente è affetto.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"43 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2021-05-30","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"89683509","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2021-05-30DOI: 10.17473/1971-6818-2021-1-4
Giorgio Bosso, M. D. Luca, Ugo Oliviero
Gli inibitori del Costrasportatore Sodio-Glucosio 2 (SGLT2i) o gliflozine rappresentano i farmaci più innovativi nel trattamento del Diabete Mellito di tipo 2. Sono attualmente disponibili quattro molecole: Canagliflozin, Dapagliflozin, Empagliflozin and Ertugliflozin. La loro azione è basata sul blocco del Costrasportatore Sodio-Glucosio 2, che aumenta l’escrezione renale di glucosio, con conseguente natriuresi e diuresi, proporzionali ai livelli di glicemia plasmatica, ma indipendenti dall’azione insulinica. Il principale effetto collaterale è l’aumentata incidenza di infezioni del tratto urogenitale. Le gliflozine hanno mostrato straordinari benefici nei grandi trials di outcome cardiovascolare in pazienti con documentata malattia cardiovascolare o multipli fattori di rischio, con una riduzione significativa delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. Questo effetto è stato confermato anche in pazienti affetti da scompenso cardiaco, con e senza diabete, collocando gli SGLT2i nell’armamentario terapeutico dei pazienti con insufficienza cardiaca. Diverse teorie sono state proposte per spiegare gli effetti benefici cardiovascolari degli SGLT2i eppure il preciso meccanismo d’azione non è ancora ben definito.
{"title":"SGLT2 inibitori: dalla prevenzione al trattamento dello Scompenso Cardiaco","authors":"Giorgio Bosso, M. D. Luca, Ugo Oliviero","doi":"10.17473/1971-6818-2021-1-4","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2021-1-4","url":null,"abstract":"Gli inibitori del Costrasportatore Sodio-Glucosio 2 (SGLT2i) o gliflozine rappresentano i farmaci più innovativi nel trattamento del Diabete Mellito di tipo 2. Sono attualmente disponibili quattro molecole: Canagliflozin, Dapagliflozin, Empagliflozin and Ertugliflozin. La loro azione è basata sul blocco del Costrasportatore Sodio-Glucosio 2, che aumenta l’escrezione renale di glucosio, con conseguente natriuresi e diuresi, proporzionali ai livelli di glicemia plasmatica, ma indipendenti dall’azione insulinica. Il principale effetto collaterale è l’aumentata incidenza di infezioni del tratto urogenitale. Le gliflozine hanno mostrato straordinari benefici nei grandi trials di outcome cardiovascolare in pazienti con documentata malattia cardiovascolare o multipli fattori di rischio, con una riduzione significativa delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. Questo effetto è stato confermato anche in pazienti affetti da scompenso cardiaco, con e senza diabete, collocando gli SGLT2i nell’armamentario terapeutico dei pazienti con insufficienza cardiaca. Diverse teorie sono state proposte per spiegare gli effetti benefici cardiovascolari degli SGLT2i eppure il preciso meccanismo d’azione non è ancora ben definito.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"45 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2021-05-30","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"89770889","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2021-05-30DOI: 10.17473/1971-6818-2021-1-3
Jacopo Lomi, A. Montereggi, Alessio Mattesini, G. Baldereschi, M. Ciardetti, M. D. Carlo, Massimo Fineschi, A. Iadanza, R. Lorenzoni, G. Parodi, R. Pedrinelli, S. Taddei, C. D. Mario
Introduzione. L’ipertensione arteriosa resistente è correlata ad un alto rischio di eventi cardiovascolari maggiori (MACE), e non tutti i pazienti sono in grado di tollerare le terapie, o di ottenere una risposta adeguata a causa di una risposta incompleta ai farmaci o di una ridotta aderenza alla terapia. La denervazione renale transcatetere è un trattamento non farmacologico che potrebbe migliorare il controllo dell’ipertensione resistente. Ad oggi la sua applicazione clinica è limitata dai risultati contrastanti degli studi eseguiti per verificarne l’efficacia. Scopo. Questo studio si pone l’obiettivo di analizzare l’efficacia a lungo termine della denervazione renale transcatetere nel trattamento dell’ipertensione arteriosa (IA) resistente. Si sono ricercati inoltre criteri preoperatori predittivi di efficacia della procedura, confrontando vari sottogruppi di pazienti, e considerando le diverse tecniche esecutive (cateteri unipolari, cateteri multipolari o a palloncino). Metodi e risultati. In questo studio multicentrico sono stati coinvolti 38 pazienti con un’età media di 61,2 anni trattati con denervazione renale transcatetere tra luglio 2012 e dicembre 2018 in cinque centri toscani: Azienda Ospedaliero- Universitaria Careggi (Firenze), Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio per la Ricerca Medica e di Sanità Pubblica – CNR Regione Toscana (Pisa) ed Ospedale di Lucca. Sono stati registrati i dettagli tecnici delle procedure di denervazione e le immagini acquisite tramite procedure diagnostiche in preparazione agli interventi e durante il loro svolgimento. L’efficacia della procedura è stata valutata con un follow-up clinico medio di 5,1 anni e con un follow-up strumentale con 24h ABPM di un anno. Inoltre, durante il follow-up, prolungato fino a settembre 2019, sono state eseguite misurazioni della funzionalità renale e sono state registrate le modifiche della terapia farmacologica fino a 7 anni dall’intervento mediante consultazione delle cartelle cliniche ed interviste ai pazienti. In seguito alla denervazione renale, sono state rilevate diminuzioni statisticamente significative dei valori di PA sistolica (– 10,7 ± 6,0 mmHg) e diastolica (5,3 ± 3,9 mmHg) al 24h ABPM. Inoltre, è stata osservata una diminuzione significativa della terapia farmacologica antiipertensiva (-1,2 farmaci). Non si sono verificate complicanze correlate alla procedura, ad eccezione di due lievi ematomi nel sito di accesso femorale. Non sono state rilevate differenze significative di efficacia analizzando i pazienti in base alla tipologia di catetere utilizzato per l’intervento, all’età, al sesso ed alla presenza di diabete mellito. Conclusioni. I risultati di questo studio confermano l’efficacia e la sicurezza a lungo termine della denervazione renale transcatetere nel trattamento dell’IA resistente. Non sono state individuati parametri clinici o procedurali per identificare pazienti p
{"title":"Denervazione renale nell’ipertensione arteriosa resistente. Esperienza 2012-2019 in Toscana","authors":"Jacopo Lomi, A. Montereggi, Alessio Mattesini, G. Baldereschi, M. Ciardetti, M. D. Carlo, Massimo Fineschi, A. Iadanza, R. Lorenzoni, G. Parodi, R. Pedrinelli, S. Taddei, C. D. Mario","doi":"10.17473/1971-6818-2021-1-3","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2021-1-3","url":null,"abstract":"Introduzione. L’ipertensione arteriosa resistente è correlata ad un alto rischio di eventi cardiovascolari maggiori (MACE), e non tutti i pazienti sono in grado di tollerare le terapie, o di ottenere una risposta adeguata a causa di una risposta incompleta ai farmaci o di una ridotta aderenza alla terapia. La denervazione renale transcatetere è un trattamento non farmacologico che potrebbe migliorare il controllo dell’ipertensione resistente. Ad oggi la sua applicazione clinica è limitata dai risultati contrastanti degli studi eseguiti per verificarne l’efficacia. Scopo. Questo studio si pone l’obiettivo di analizzare l’efficacia a lungo termine della denervazione renale transcatetere nel trattamento dell’ipertensione arteriosa (IA) resistente. Si sono ricercati inoltre criteri preoperatori predittivi di efficacia della procedura, confrontando vari sottogruppi di pazienti, e considerando le diverse tecniche esecutive (cateteri unipolari, cateteri multipolari o a palloncino). Metodi e risultati. In questo studio multicentrico sono stati coinvolti 38 pazienti con un’età media di 61,2 anni trattati con denervazione renale transcatetere tra luglio 2012 e dicembre 2018 in cinque centri toscani: Azienda Ospedaliero- Universitaria Careggi (Firenze), Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio per la Ricerca Medica e di Sanità Pubblica – CNR Regione Toscana (Pisa) ed Ospedale di Lucca. Sono stati registrati i dettagli tecnici delle procedure di denervazione e le immagini acquisite tramite procedure diagnostiche in preparazione agli interventi e durante il loro svolgimento. L’efficacia della procedura è stata valutata con un follow-up clinico medio di 5,1 anni e con un follow-up strumentale con 24h ABPM di un anno. Inoltre, durante il follow-up, prolungato fino a settembre 2019, sono state eseguite misurazioni della funzionalità renale e sono state registrate le modifiche della terapia farmacologica fino a 7 anni dall’intervento mediante consultazione delle cartelle cliniche ed interviste ai pazienti. In seguito alla denervazione renale, sono state rilevate diminuzioni statisticamente significative dei valori di PA sistolica (– 10,7 ± 6,0 mmHg) e diastolica (5,3 ± 3,9 mmHg) al 24h ABPM. Inoltre, è stata osservata una diminuzione significativa della terapia farmacologica antiipertensiva (-1,2 farmaci). Non si sono verificate complicanze correlate alla procedura, ad eccezione di due lievi ematomi nel sito di accesso femorale. Non sono state rilevate differenze significative di efficacia analizzando i pazienti in base alla tipologia di catetere utilizzato per l’intervento, all’età, al sesso ed alla presenza di diabete mellito. Conclusioni. I risultati di questo studio confermano l’efficacia e la sicurezza a lungo termine della denervazione renale transcatetere nel trattamento dell’IA resistente. Non sono state individuati parametri clinici o procedurali per identificare pazienti p","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"1 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2021-05-30","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"89355324","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2021-05-30DOI: 10.17473/1971-6818-2021-1-5
A. Carcagnì
Le malattie cardiovascolari associate all’aterosclerosi sono la prima causa di mortalità e morbilità. Diversi studi evidenziano che il tessuto adiposo viscerale ha un ruolo importante nello sviluppo di uno stato infiammatorio sistemico che contribuisce al rischio cardiovascolare e allo sviluppo della patologia ischemica. I mediatori circolanti dell’infiammazione partecipano ai meccanismi del danno vascolare. Nei pazienti obesi tali sostanze sono secrete direttamente dagli adipociti e dai macrofagi del tessuto viscerale e dagli epatociti e contribuiscono all’insorgere dell’insulino-resistenza. Questa rassegna mostra come lo stato infiammatorio si associa ad insulino-resistenza e come questo agisca nella formazione della placca ateromasica. Inoltre, descrive come l’insulino-resistenza potenzia altri fattori di rischio cardiovascolare associati all’obesità; e suggerisce importanti raccomandazioni nella pratica clinica per i pazienti cardiovascolari con obesità viscerale
{"title":"Obesità, infiammazione e rischio cardiovascolare: la genesi dell’ateroma","authors":"A. Carcagnì","doi":"10.17473/1971-6818-2021-1-5","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2021-1-5","url":null,"abstract":"Le malattie cardiovascolari associate all’aterosclerosi sono la prima causa di mortalità e morbilità. Diversi studi evidenziano che il tessuto adiposo viscerale ha un ruolo importante nello sviluppo di uno stato infiammatorio sistemico che contribuisce al rischio cardiovascolare e allo sviluppo della patologia ischemica. I mediatori circolanti dell’infiammazione partecipano ai meccanismi del danno vascolare. Nei pazienti obesi tali sostanze sono secrete direttamente dagli adipociti e dai macrofagi del tessuto viscerale e dagli epatociti e contribuiscono all’insorgere dell’insulino-resistenza. Questa rassegna mostra come lo stato infiammatorio si associa ad insulino-resistenza e come questo agisca nella formazione della placca ateromasica. Inoltre, descrive come l’insulino-resistenza potenzia altri fattori di rischio cardiovascolare associati all’obesità; e suggerisce importanti raccomandazioni nella pratica clinica per i pazienti cardiovascolari con obesità viscerale","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"8 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2021-05-30","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"89361674","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2021-05-30DOI: 10.17473/1971-6818-2021-1-9
Adele Lillo, E. Antoncecchi, V. Antoncecchi
Sex and gender differences change biology and pathophysiology. Up to now there has been no attention to this problem and the results of scientific research conducted mainly in men were inappropriately shifted to the female sex. The female “umbrella-hormone” bias has come to minimize the impact of risk factors and cardiovascular disease which instead are the leading cause of death in women in developed countries. To take stock of female awareness in Italy and identify methods and topics of intervention, ARCA (Associazioni Regionali Cardiology Ambulatoriali), with the collaboration of GISeG (Gruppo Italiano Salute e Genere), conducted a survey enrolling 2,856 women, mainly interviewed in cardiological outpatient clinics. The mean age of the enrolled patients was 53.8 ± 13.4 years, school attendance was generally low for a European country (with 53% of senior high school diploma or degree). Forty percent of respondents were single. Awareness of traditional risk factors was high, slightly less for diabetes mellitus (81%). The presence of cardiovascular events was strongly correlated with age and the number of conventional risk factors. Lifestyle change seemed to be difficult for a large percentage of women, mainly the eating habits (45%). Ninety one percent declared to need more information about the CVR and over 80% would like the family doctor to provide it. In conclusion, women’s awareness of their cardiovascular risk is still not optimal and the interviewees believe that they need to be primarily informed by their family doctor.
{"title":"CArdiovascular Risk Awareness of ItaliaN WOMEN The A.R.C.A. (Associazioni Regionali Cardiologi Ambulatoriali) CARIN WOMEN survey","authors":"Adele Lillo, E. Antoncecchi, V. Antoncecchi","doi":"10.17473/1971-6818-2021-1-9","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2021-1-9","url":null,"abstract":"Sex and gender differences change biology and pathophysiology. Up to now there has been no attention to this problem and the results of scientific research conducted mainly in men were inappropriately shifted to the female sex. The female “umbrella-hormone” bias has come to minimize the impact of risk factors and cardiovascular disease which instead are the leading cause of death in women in developed countries. To take stock of female awareness in Italy and identify methods and topics of intervention, ARCA (Associazioni Regionali Cardiology Ambulatoriali), with the collaboration of GISeG (Gruppo Italiano Salute e Genere), conducted a survey enrolling 2,856 women, mainly interviewed in cardiological outpatient clinics. The mean age of the enrolled patients was 53.8 ± 13.4 years, school attendance was generally low for a European country (with 53% of senior high school diploma or degree). Forty percent of respondents were single. Awareness of traditional risk factors was high, slightly less for diabetes mellitus (81%). The presence of cardiovascular events was strongly correlated with age and the number of conventional risk factors. Lifestyle change seemed to be difficult for a large percentage of women, mainly the eating habits (45%). Ninety one percent declared to need more information about the CVR and over 80% would like the family doctor to provide it. In conclusion, women’s awareness of their cardiovascular risk is still not optimal and the interviewees believe that they need to be primarily informed by their family doctor.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"22 4 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2021-05-30","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"77485015","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2021-05-30DOI: 10.17473/1971-6818-2021-1-2
Adele Lillo, G. Zito
Over the past two decades, several studies have examined gender differences in the clinical manifes-tations and prognosis of cardiovascular disease. The results of these studies have shown some important gender-related differences. While the effects that gender, age and cultural behavior have on the health of men and women have been extensively studied, knowledge and awareness of the impact that gender differences have on the pathophysiolo-gy and treatment of diseases in general and cardio-vascular diseases in particular are still low. Heart disease is the leading cause of death and a major contributor to disability among women world-wide. Although often considered an advanced-aging disease, more than 15,000 deaths each year among women aged ≤ 55 years in the United States can be at-tributed to heart disease. The prevalence of cardiovas-cular disease (CVD) in postmenopausal women is the same as in men, however, in all age groups, women with CVD have relatively worse outcomes than men. Therefore, young women would be less likely to be affected by CVD, but, if affected, are exposed to a death rate and higher complications than men.
{"title":"Conoscenza e consapevolezza del rischio cardiovascolare nella donna: a che punto siamo?","authors":"Adele Lillo, G. Zito","doi":"10.17473/1971-6818-2021-1-2","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2021-1-2","url":null,"abstract":"Over the past two decades, several studies have examined gender differences in the clinical manifes-tations and prognosis of cardiovascular disease. The results of these studies have shown some important gender-related differences. While the effects that gender, age and cultural behavior have on the health of men and women have been extensively studied, knowledge and awareness of the impact that gender differences have on the pathophysiolo-gy and treatment of diseases in general and cardio-vascular diseases in particular are still low. Heart disease is the leading cause of death and a major contributor to disability among women world-wide. Although often considered an advanced-aging disease, more than 15,000 deaths each year among women aged ≤ 55 years in the United States can be at-tributed to heart disease. The prevalence of cardiovas-cular disease (CVD) in postmenopausal women is the same as in men, however, in all age groups, women with CVD have relatively worse outcomes than men. Therefore, young women would be less likely to be affected by CVD, but, if affected, are exposed to a death rate and higher complications than men.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"29 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2021-05-30","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"79301700","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2021-05-30DOI: 10.17473/1971-6818-2021-1-1
Ettore Antoncecchi, E. Orsini
Il panorama scientifico 2020 è stato dominato dalla pandemia CoViD, che ha quasi del tutto as-sorbito l’interesse e le energie della ricerca, in ogni branca della medicina. La cardiologia non ha fatto eccezioni. Non vi è stata piattaforma web, congres-so o meeting, rivista internazionale o nazionale, che non si sia occupata in larga misura dei rapporti fra CoViD-19 e malattie cardiovascolari. Il risultato è stata la povertà di reali novità nella produzione scientifica in ambito cardiovascolare. Anche l’atte-sissimo progetto ISCHEMIA, pubblicato nel 2020, che peraltro non ha apportato reali novità nel trat-tamento della cardiopatia ischemica cronica, non ha suscitato il dibattito scientifico che sarebbe stato ne-cessario, soffocato purtroppo dalla tragedia CoViD che il mondo ha vissuto in questo anno. Una delle poche eccezioni dell’anno 2020 è stata la inarrestabi-le conferma degli inibitori SGLT2, che hanno ormai travalicato il semplice ruolo di farmaci antidiabetici, per collocarsi a pieno titolo fra gli agenti dotati di uno spiccato ruolo protettivo verso gli outcomes cardiovascolari. Come ogni anno, abbiamo concentrato la nostra attenzione su alcuni temi, che riteniamo particolar-mente significativi per l’interesse dei lettori.
{"title":"Cardiologia 2020. Cosa c’è di nuovo","authors":"Ettore Antoncecchi, E. Orsini","doi":"10.17473/1971-6818-2021-1-1","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2021-1-1","url":null,"abstract":"Il panorama scientifico 2020 è stato dominato dalla pandemia CoViD, che ha quasi del tutto as-sorbito l’interesse e le energie della ricerca, in ogni branca della medicina. La cardiologia non ha fatto eccezioni. Non vi è stata piattaforma web, congres-so o meeting, rivista internazionale o nazionale, che non si sia occupata in larga misura dei rapporti fra CoViD-19 e malattie cardiovascolari. Il risultato è stata la povertà di reali novità nella produzione scientifica in ambito cardiovascolare. Anche l’atte-sissimo progetto ISCHEMIA, pubblicato nel 2020, che peraltro non ha apportato reali novità nel trat-tamento della cardiopatia ischemica cronica, non ha suscitato il dibattito scientifico che sarebbe stato ne-cessario, soffocato purtroppo dalla tragedia CoViD che il mondo ha vissuto in questo anno. Una delle poche eccezioni dell’anno 2020 è stata la inarrestabi-le conferma degli inibitori SGLT2, che hanno ormai travalicato il semplice ruolo di farmaci antidiabetici, per collocarsi a pieno titolo fra gli agenti dotati di uno spiccato ruolo protettivo verso gli outcomes cardiovascolari. Come ogni anno, abbiamo concentrato la nostra attenzione su alcuni temi, che riteniamo particolar-mente significativi per l’interesse dei lettori.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"5 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2021-05-30","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"90192609","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2021-05-30DOI: 10.17473/1971-6818-2021-1-8
Antonio Trani, A. Cardinale, Pierluigi Antonino Cappiello
La malattia venosa cronica è una patologia ad altissima prevalenza nella popolazione generale, caratterizzata da andamento cronico e progressivo. Secondo la classificazione internazionale CEAP, viene differenziata in stadi di complessità e gravità crescenti, da C0 a C6. Si è soliti definire gli stadi iniziali C0-C2 nel loro complesso come malattia venosa cronica propriamente detta, mentre gli stadi avanzati C3-C6 definiscono più propriamente l’insufficienza venosa cronica. Senza un trattamento adeguato, la malattia venosa tende a peggiorare e progredire inevitabilmente verso gli stadi più avanzati, caratterizzati dalle ulcere venose. La causa iniziale e l’aggravamento progressivo sono sostenuti da stimoli infiammatori a carico della parete venosa e dei tessuti perivenosi, che provocano un danno strutturale di parete e delle valvole venose, conducendo all’ipertensione venosa e compromettendo la fisiologica funzione del ritorno venoso. In relazione allo stadio e alla severità, la malattia venosa cronica richiede tipologie di trattamento differenziate, sulla base dei sintomi e segni prevalenti, comprendenti l’utilizzo di farmaci venoattivi in associazione con tecniche interventistiche mininvasive e chirurgiche.
{"title":"La terapia dell’insufficienza venosa cronica","authors":"Antonio Trani, A. Cardinale, Pierluigi Antonino Cappiello","doi":"10.17473/1971-6818-2021-1-8","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2021-1-8","url":null,"abstract":"La malattia venosa cronica è una patologia ad altissima prevalenza nella popolazione generale, caratterizzata da andamento cronico e progressivo. Secondo la classificazione internazionale CEAP, viene differenziata in stadi di complessità e gravità crescenti, da C0 a C6. Si è soliti definire gli stadi iniziali C0-C2 nel loro complesso come malattia venosa cronica propriamente detta, mentre gli stadi avanzati C3-C6 definiscono più propriamente l’insufficienza venosa cronica. Senza un trattamento adeguato, la malattia venosa tende a peggiorare e progredire inevitabilmente verso gli stadi più avanzati, caratterizzati dalle ulcere venose. La causa iniziale e l’aggravamento progressivo sono sostenuti da stimoli infiammatori a carico della parete venosa e dei tessuti perivenosi, che provocano un danno strutturale di parete e delle valvole venose, conducendo all’ipertensione venosa e compromettendo la fisiologica funzione del ritorno venoso. In relazione allo stadio e alla severità, la malattia venosa cronica richiede tipologie di trattamento differenziate, sulla base dei sintomi e segni prevalenti, comprendenti l’utilizzo di farmaci venoattivi in associazione con tecniche interventistiche mininvasive e chirurgiche.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"1 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2021-05-30","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"90012754","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}
Pub Date : 2020-12-01DOI: 10.17473/1971-6818-2020-4-7
Tiziana Leopizzi, A. Fioretti
Venous thromboembolism is the second leading cause of mortality among cancer patients, with a 20% incidence, after the progression of cancer itself. In the last two years clinical trials have studied direct oral anticoagulants also in the oncological clinical setting with prom-ising results in efficacy and safety. Osimertinib has been approved for the treatment of EGFR T790M mutation-positive non small cell lung cancer resistant to first- and second-generation EGFR tirosin kinase inhibitors. However, little is known about venous thromboem-bolism induced by osimertinib. Here, we report the case of a woman with lung cancer treated by osimertinib who developed deep vein thrombosis of the common femoral right vein, successfully treated wih edoxaban. In conclusion, on one side deep vein thrombosis is a possible side effect of osimertinib, on the other side edoxaban is a new practical, effective and safe therapeutic option also in active cancer patients.
{"title":"https://www.cardiologiaambulatoriale.eu/osimertinib-induced-venous-thromboembolism-in-lung-cancer-a-challenging-clinical-case/","authors":"Tiziana Leopizzi, A. Fioretti","doi":"10.17473/1971-6818-2020-4-7","DOIUrl":"https://doi.org/10.17473/1971-6818-2020-4-7","url":null,"abstract":"Venous thromboembolism is the second leading cause of mortality among cancer patients, with a 20% incidence, after the progression of cancer itself. In the last two years clinical trials have studied direct oral anticoagulants also in the oncological clinical setting with prom-ising results in efficacy and safety. Osimertinib has been approved for the treatment of EGFR T790M mutation-positive non small cell lung cancer resistant to first- and second-generation EGFR tirosin kinase inhibitors. However, little is known about venous thromboem-bolism induced by osimertinib. Here, we report the case of a woman with lung cancer treated by osimertinib who developed deep vein thrombosis of the common femoral right vein, successfully treated wih edoxaban. In conclusion, on one side deep vein thrombosis is a possible side effect of osimertinib, on the other side edoxaban is a new practical, effective and safe therapeutic option also in active cancer patients.","PeriodicalId":9447,"journal":{"name":"CARDIOLOGIA AMBULATORIALE","volume":"37 1 1","pages":""},"PeriodicalIF":0.0,"publicationDate":"2020-12-01","publicationTypes":"Journal Article","fieldsOfStudy":null,"isOpenAccess":false,"openAccessPdf":"","citationCount":null,"resultStr":null,"platform":"Semanticscholar","paperid":"90457600","PeriodicalName":null,"FirstCategoryId":null,"ListUrlMain":null,"RegionNum":0,"RegionCategory":"","ArticlePicture":[],"TitleCN":null,"AbstractTextCN":null,"PMCID":"","EPubDate":null,"PubModel":null,"JCR":null,"JCRName":null,"Score":null,"Total":0}